Sono passate poche ore da quando hanno arrestato, dopo decenni, il latitante capo della mafia Messina Denaro. E sono passate poche settimane da quando un pentito aveva dichiarato che il boss, molto malato, avrebbe pilotato il suo arresto, per evidenti esigenze di salute e sapendo che, nelle sue condizioni, avesse poco da perdere. Un arresto poco rocambolesco, quasi troppo banale per essere vero, sebbene vero deve essere per noi, i siciliani, che non abbiamo altro da fare che festeggiare. Ma, esattamente, festeggiare cosa?
Non voglio passare per quello che deve per forza avanzare dei distinguo. C’è differenza tra chi è dedito a questa pratica per atteggiamento e senza motivi, e chi onestamente, senza per questo sminuire l’importanza della notizia, sa benissimo che oggi non è successo assolutamente nulla. Nulla. Come nulla era successo dopo l’arresto di Riina e poi quello di Provenzano che, giunti sulla “via della pensione”, lasciavano il comando. E magicamente, come fosse un caso, l’indomani mattina era già saldamente in mano a un altro Boss. Vedrete che tra poche ore inizieranno gli articoli su chi è il nuovo capo della mafia a cui prima dell’arresto era stato consegnato il testimone.
Dico, sarà un caso. Ma è mai possibile che uno abita per decenni tra noi, e tutte le volte viene però arrestato non nel pieno della sua freschezza e azione, ma quando ormai essere arrestato gli conviene? Ed è mai possibile che, ragionando un po’, un arresto reale, genuino, eseguito senza una precedente strategia, non abbia portato a “vendette” dei boss arrestati attraverso rivelazioni sulle stragi ed altro?
Infondo, lo sappiamo tutti, che lo Stato ha combattuto la mafia, a differenza di certe campagne mediatiche che in questi anni hanno pilotato anche finti pentiti per fini giudiziari poi falliti miseramente; i Carabinieri sono l’unico baluardo di questo Paese. Ma sappiamo anche che tanto è stato fatto per raccontare versioni parziali, deficitarie, di periodi molto più oscuri e complessi di ciò che noi crediamo, come ad esempio gli anni intorno alla strage di Capaci. Prova ne è che testi, ovviamente sconosciuti, siano stati scritti su queste vicende da personalità impensabili, come il Procuratore di Mosca. Prova ne è, ma pochi lo sanno, che nei processi a Palermo sulle stragi di mafia è stato chiamato a testimoniare Vladimir Putin. Mai interrogato poi. Una provocazione, ma che era un messaggio per qualcuno…
Vicende importanti, misteri di Stato, che sicuramente sono saldamente custodite dagli archivi dei servizi segreti e da quei Boss di organizzazioni criminali che hanno agito come braccio, assistenza, ad operazioni di ingegneria militare dinamitarda irrealizzabili da una organizzazione come la mafia.
Ma oggi festeggiamo, perché è un gran giorno quando in realtà è un giorno come un altro perché non è cambiato nulla. Senza accorgerci che al precedente arresto nulla cambiò, e non cambierà al prossimo.
Perché il testimone della mafia, ad ogni giro, è affidato ai cittadini siciliani e alla loro cultura che rende possibile la dinamica del clan, del favore, del ci penso io, del non ti preoccupare perché io in quell’ufficio ho un amico che comanda. E quindi comando io, e quindi ti faccio un favore e ti dico a buon rendere. Mi aspetto un favore in cambio. O la prevaricazione opposta, di chi sa che hai un diritto, ma se non hai l’amico non ti viene evasa la pratica. Non ti si risponde al telefono. Puoi fetere.
E poi quella costante violenza, che viene esercitata verso chi muove una critica alla nostra perfezione, essendo noi unicamente adorabili e nessuno si deve permettere di negare la perfezione della Sicilia e dei siciliani. Fosse qualcuno di loro che salta in aria, o una famiglia finlandese ricoperta di insulti, aggressioni e inviti a levarsi dalle palle, a testimonianza di cosa sia la violenza mafiosa, del clan da difendere, che prima d’essere violenza da organizzazione criminale, è violenza culturale insita anche nelle persone più per bene che conosciamo.
Un giorno, forse, verrà tratta in arresto la cultura mafiosa. Allora potremo davvero festeggiare, perché la mafia sarà sconfitta non potendo attecchire.